A message in a bottle – Sogno del 16.04.25
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Nel sogno intitolato “a message in a bottle”, mi ritrovo su un’isola nel Pacifico dopo essere stato abbandonato durante una crociera. Ho la strana sensazione di essere naufragato. Non sono solo: c’è una donna con me.

L’isola, stranamente, non ha l’aspetto selvaggio che ci si potrebbe aspettare. È una sorta di città caotica, con alti palazzi e un’atmosfera che oscilla tra il surreale e il familiare. Viviamo in un appartamento e, nonostante il disordine apparente, la vita scorre tranquilla, con spazi ampi e un’insolita serenità. La donna che mi accompagna non è mia moglie, eppure ho due figli di colore che sembrano appartenere a questa nuova realtà. Ognuno di noi vive separato, come se fossimo vicini ma distanti. Il mio appartamento è situato in cima a un palazzo, da dove posso osservare il mondo sottostante. Le giornate trascorrono lente e monotone, immerse in una strana routine.

Un problema ricorrente che mi tormenta è il parcheggio, un pensiero quasi assurdo su un’isola remota. Eppure non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che questo luogo somigli alla vecchia casa dei miei nonni. Intravedo persino un’anziana signora che vive nei dintorni. Non è mia nonna, ma sono convinto che lo sia. Tuttavia, non provo alcun legame con lei. Nei miei sogni, questa figura assume il ruolo di una padrona di appartamenti, nient’altro.

Trascorro molto tempo affacciato alla finestra, osservando il traffico sottostante. È un caos continuo e inspiegabile, considerata la natura remota dell’isola. Mi chiedo spesso come sia possibile e, soprattutto, quando arriverà qualcuno a salvarci. La monotonia del tempo sembra infinita, un ciclo che si ripete senza fine.

Un giorno, mentre guardo fuori, scorgo in lontananza una nave da crociera. Il suono della sua sirena infrange il silenzio e rompe la routine. Il mio cuore si riempie di speranza. La nave si avvicina, e il mio entusiasmo cresce. Tuttavia, man mano che la osservo, noto qualcosa di strano: somiglia più a un bateau-mouche della Senna che a una vera nave da crociera. Mentre attraversa il capo dell’isola, questa perde improvvisamente il suo aspetto urbano, rivelandosi per ciò che è realmente: un’isola desolata e selvaggia.

Ci prepariamo al meglio delle nostre possibilità. Costruiamo una zattera di fortuna usando materassi e un motore improvvisato, e ci tuffiamo in acqua per raggiungere la nave. La vediamo rallentare, il suono delle sue caldaie si affievolisce, evocando un’atmosfera che sembra appartenere a un’altra epoca, come quella di una nave a vapore dei primi del novecento. Quando finalmente si ancora al piccolo porto turistico dell’isola, capiamo che la nostra salvezza è vicina.

Con la nostra zattera, ci avviciniamo alla nave. L’equipaggio ci lancia reti di emergenza e riusciamo ad arrampicarci a bordo. Siamo accolti con calore e sollievo. Ci offrono cibo e acqua, e ci raccontano di aver trovato un messaggio in bottiglia che le correnti marine hanno portato fino a loro in tempi incredibilmente brevi. Sono passati solo pochi anni dal nostro naufragio, ma nessuno di noi ricorda di aver inviato quel messaggio.

All’improvviso, un ricordo riaffiora: sull’isola c’era un vecchio ufficio postale abbandonato, con una buca riservata ai messaggi in bottiglia. Forse, in un momento di disperazione, ho lasciato lì un messaggio, sperando che qualcuno lo trovasse. Rimango colpito da questa rivelazione, soprattutto considerando che, durante il nostro tempo sull’isola, nonostante il traffico e le persone che osservavo dall’alto, non ho mai incontrato nessuno.

Ora siamo salvi. Mentre la nave si allontana dall’isola, penso a quanto siamo stati fortunati, riflettendo sul mistero e sull’imprevedibilità di ciò che abbiamo vissuto.

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