L’incontro con mia madre nel passato- Sogno del 2.5.2025
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Nel sogno intitolato “L’incontro con mia madre nel passato”, mi trovo in viaggio con la mia famiglia a bordo di un’automobile. Percorriamo un’autostrada che si snoda tra gole montuose, un luogo che mi sembra familiare, forse già visto in un altro sogno. Guidiamo per centinaia di chilometri fino a raggiungere un piccolo paese arroccato sulle colline dell’appenino per visitare alcuni nostri parenti. Il paesino è lo stesso che era stato menzionato nei telegiornali qualche giorno prima. Cerchiamo i nostri famigliari, ma il borgo appare deserto. Tuttavia, una vecchia altalena oscilla pigra nel vento, e alcuni tricicli di bambini sono abbandonati su un prato ben curato nel parco cittadino.

Il paese è un classico villaggio di collina: ordinato, con villette semplici ma impeccabili. Tutto sembra al posto giusto, come se ogni dettaglio fosse stato progettato per essere esattamente così. Mentre mia moglie e mia figlia si intrattengono con i nostri parenti, decido di fare una passeggiata. Non mi sento a mio agio nella casa di persone che conosco poco. Camminando, incontro alcuni cani che giocano spensierati, accompagnati dai loro padroni. Una bassa recinzione di legno, anch’essa perfettamente curata, ci separa. Uno dei cani, un cocker con grandi occhi sporgenti, mi fissa. I suoi occhi non sono inquietanti, ma indubbiamente particolari, quasi umani. Indossa persino degli occhiali.

Il suo padrone si avvicina e mi spiega che quel cane è apparso al telegiornale la sera prima perché è in grado di leggere e contare fino a numeri molto alti: un talento che lo rende straordinariamente intelligente. Poco dopo, altra gente del posto mi saluta con cordialità, anche se in modo riservato, tipico delle persone di montagna. Inizio a chiacchierare con un anziano che mi racconta di aver vissuto a lungo in Germania come emigrante.

Gli chiedo quale lavoro avesse fatto, ma non riesco a comprendere la sua risposta. Gli confido che anch’io ho trascorso quasi trent’anni in Germania per lavoro. Parlando del più e del meno, ci fermiamo davanti a una grande vasca decorativa nella piazzetta del paese, dove nuotano alcune carpe. L’acqua, limpida, sgorga da un tubo immerso nella vasca.

All’improvviso, dal tubo emerge una testa gigantesca, a metà strada tra quella di una murena e quella di un mostro marino. Mi osserva, ma non riesco a capire cosa voglia da me. Mi allontano e scendo alcuni gradini che mi conducono a un livello inferiore rispetto alla piazzetta. Qui si apre un mondo sotterraneo, dove le persone lavorano con oli e bitumi. Non sembrano né stanche né insoddisfatte; per loro è solo un lavoro come un altro. Tra loro noto un vecchio contabile, seduto dietro una scrivania di legno dall’aspetto antico. Ha un naso contorto, indossa delle mezze maniche e un cappellino dal sapore retrò. Mi osserva con sguardo indagatore, ma io proseguo, salendo un’altra scala che mi riporta nel giardino della villetta dei miei parenti.

Entrando in casa, trovo un’atmosfera frenetica, ma l’agitazione non riguarda la mia famiglia. Tutti si stanno preparando per una festa paesana imminente, cucinando una quantità incredibile di cibo. Cerco mia moglie e mia figlia. Mia moglie mi informa che nostra figlia non si è sentita bene e che l’hanno fatta sdraiare per riposare. Uno dei nostri parenti, che è medico, ci consiglia di contattare un collega. Per farlo, utilizzo un vecchio telefono a muro di colore grigio, con un cavo spelacchiato e attorcigliato, un oggetto che sembra uscito da un’altra epoca. Non mi sorprende, in questi piccoli paesi di montagna si trovano spesso oggetti vintage come questo, che sembrano appartenere a un tempo lontano.

Mentre sto per fare una telefonata, mi ritrovo improvvisamente catapultato dentro una vecchia fotografia di mia madre, scattata durante il suo viaggio di nozze. È splendida, poco più che diciannovenne, prima della mia nascita. La vedo scendere da un autobus insieme a mio padre, in un piccolo borgo dell’Appennino. Tutto è avvolto dalla neve, una neve che fino a un attimo prima non esisteva nel sogno. Ed ecco che tutto si illumina di senso: sono qui per assistere a questo momento, all’arrivo di mia madre.

La razionalità svanisce, e la scena onirica si trasforma. Io sono presente nella scena che adesso è in bianco e nero come nella foto che esiste realmente, ma è come se io non esistessi, come se abitassi un altro piano temporale. E’ un incontro impossibile. Mia madre scende dall’autobus e incrocia il mio sguardo, ma non mi riconosce. È naturale: non sono ancora nato, non può sapere chi sono. Vorrei salutarla e dirle chi sono ma mi trattengo perchè penso che non posso rischiare di cambiare il futuro.

La scena cambia ancora e torno alla telefonata. Dall’altro capo del telefono, il medico risponde e ci dice che il malessere di nostra figlia è probabilmente legato a un problema di crescita personale. A quel punto, mi risveglio. Il sogno finisce, lasciandomi con una sensazione di mistero irrisolto.

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