Mia figlia, il mugnaio Arnold e il senso di giustizia
Tempo di lettura : 3 minuti“Ci deve pur essere un giudice a Berlino,” esclamò il povero mugnaio Arnold nella Prussia del XVIII secolo, mentre lottava per riottenere il mulino che gli era stato ingiustamente sottratto. Questa frase rappresenta un profondo anelito verso la giustizia, un valore che considero radicato nell’essenza stessa dell’essere umano. Non credo che il mugnaio stesse semplicemente rivendicando un diritto materiale, ma piuttosto reagiva alla ferita più profonda inflittagli dall’ingiustizia. Oggi pubblichiamo nuovamente un post già apparso sul nostro sito. L’articolo è stato rivisto e migliorato con l’aiuto dell’Intelligenza artificiale. L’articolo originario era mancante di alcuni importanti passaggi tagliati dal programma automatico che utilizziamo per effettuare i riassunti. Se volete leggere il post originale potete trovarlo negli articoli correlati in fondo a questa pagina.
Anche Bertolt Brecht, con la sua visione del mondo, sperava che esistesse, da qualche parte, una giustizia autentica, non relegata a concetto astratto ma parte integrante della vita quotidiana. Un sogno che risuona profondamente con i miei pensieri, soprattutto in alcuni momenti della mia vita in cui mi sono trovato a subire critiche ingiuste in ambito lavorativo. Una di queste esperienze mi portò, una notte, a fare un sogno che ricordo ancora con sorprendente nitidezza.
Il sogno si articolava in due parti. Nella prima, io, mia figlia e una coppia di amici decidiamo di concedere un po’ di tranquillità a mia moglie e ci dirigiamo a fare una passeggiata in un noto parco cittadino. Arrivati al parco, prendo mia figlia in braccio, preferendo non utilizzare la carrozzina. Camminiamo tra sentieri alberati fino a raggiungere una fontana che conosco bene. Improvvisamente, mia figlia, che nel sogno ha circa otto anni, comincia a piangere disperatamente. Cerco di calmarla, ma ogni tentativo sembra vano.

All’improvviso, come se si svegliasse da uno stato onirico all’interno del sogno stesso, mi dice con sorprendente chiarezza e logica che è naturale piangere, dato che ha solo otto anni. Poi, offesa, si volta dall’altra parte, rifiutando di guardarmi. Per farle tornare il sorriso, io e i nostri amici ci alterniamo a baciarla e accarezzarla, rassicurandola che è una bambina davvero speciale. Ci scambiamo uno sguardo complice, riconoscendo in lei il carattere inconfondibile di mia moglie.
La seconda parte del sogno si svolge in montagna, in una casa acquistata da mio zio paterno e sua moglie, dove sono in corso lavori di ristrutturazione. La casa si affaccia su un torrente racchiuso da un argine di pietre. Mio zio, come sempre, è immerso nei suoi lavori di costruzione. Nel sogno, io e mio fratello siamo molto giovani, nonostante la differenza d’età tra noi rimanga invariata. Curiosamente, non riesco mai a vedere il volto di mio fratello, pur percependolo costantemente al mio fianco. Anche mia zia è presente, ma solo come un’ombra amorevole: la immagino affacciata a una finestra, che ci osserva con affetto ma senza mai mostrarsi. Mio zio, invece, rimane una figura sfuggente, visibile solo di spalle, intento nel suo lavoro.

All’improvviso, io e mio fratello ci ritroviamo in un vecchio negozio di mangimi e cianfrusaglie. L’ambiente polveroso fa riaffiorare in me una serie di ricordi d’infanzia, legati alle estati trascorse a Porto Corsini nel ravennate con i miei zii. Quelle giornate calde e luminose, così diverse dai luoghi familiari della mia quotidianità, tornano alla mente con forza.
Rammento il senso di estraneità e solitudine che provavo, costretto a stare lontano da casa per via dei problemi di salute di mia madre. Quelle estati, seppur difficili, sono rimaste nella mia memoria come un intreccio di nostalgia e riflessioni, un mosaico di emozioni che il tempo non ha mai cancellato.
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