2010 L’ANNO DEL CONTATTO
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Ben ritrovati, cari lettori di occhialinelbuio.com! Oggi voglio condividere con voi una riflessione che, pur non nascendo da un vero sogno, ne richiama l’essenza. Gli appassionati di fantascienza avranno già colto il riferimento implicito nel titolo, ed è proprio a loro che dedico questo viaggio tra cinema, tecnologia e immaginazione.
Chiunque ami il genere ricorderà “2010 – L’anno del contatto”, il film diretto da Peter Hyams, seguito del celebre “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick. Qualche sera fa, colto da un’irrefrenabile voglia di revival, ho deciso di immergermi nuovamente in questa saga. Ho recuperato il file di “2010” dai miei archivi (oltre 6 gigabyte di film, un vero tesoro personale), abbassato le luci e acceso il mio nuovo schermo da 55 pollici, accompagnato da un impianto home theater degno di nota. Quando il rombo del razzo ha fatto vibrare non solo gli oggetti della sala ma, probabilmente, anche la sedia del mio vicino, ho capito che la serata prometteva bene.
La visione di “2010” è sempre un piacere. Il film mantiene un ritmo scorrevole, nonostante la durata considerevole (116 minuti), e la trama si sviluppa con leggerezza senza mai appesantirsi. Girato nel 1984, il sequel riesce a reggere il confronto con il suo illustre predecessore e, a mio avviso, non mostra il peso del tempo, nemmeno se paragonato ai grandi classici della fantascienza moderna.
Dopo aver rivisto il film, mi sono soffermato su una scena in particolare, una delle prime. Il dottor Chandra, prima di partire per la missione congiunta russo-americana destinata a recuperare la Discovery, si trova nel suo ufficio sulla Terra. Qui, con tono pacato e riflessivo, parla a SAL 9000, successore del leggendario HAL 9000. Durante il dialogo, Chandra informa SAL che sarà necessario disattivarlo temporaneamente per la durata della missione, circa 30 mesi. A quel punto, SAL pone una domanda semplice ma profondamente significativa: “Sognerò mentre sarò spento?”. Dopo un momento di esitazione, Chandra risponde: “Sognerai certamente. Tutte le creature intelligenti sognano, anche se nessuno sa davvero perché. Forse sognerai HAL, come spesso accade a me”.
Questa scena racchiude un parallelismo affascinante. Una macchina, simbolo di razionalità e impersonalità, chiede se potrà sognare, evocando così una delle metafore più ricorrenti della fantascienza classica. È un tema caro alla narrativa futurista e alla “new wave” degli anni ’60 e ’70, che esplora l’impatto della tecnologia — immaginata, futura o futuribile — sull’individuo e sulla società. Persino Keplero, nei suoi visionari viaggi lunari del 1634, affrontava questioni simili, anticipando interrogativi che ancora oggi ci affascinano.
La vera domanda, tuttavia, non è cosa possiamo o dobbiamo chiedere alle macchine, ma cosa esse ci chiedono. In questo dialogo simbolico tra uomo e tecnologia, si riflette qualcosa di più profondo: ciò che il nostro inconscio cerca di comunicarci attraverso i sogni. Fantascienza e sogno condividono infatti elementi comuni: l’incongruità del tempo, l’inspiegabile inserito in un contesto onirico e la costante tensione tra accettazione e rifiuto dell’ignoto.

Forse, in fin dei conti, è proprio questo il cuore pulsante della fantascienza: uno specchio del nostro stesso desiderio di comprendere ciò che ancora ci sfugge. E, chissà, magari anche il sogno di una macchina non è poi così diverso dal nostro.
Ricordate la serie televisiva degli anni ’60 “Ai confini della realtà”? Io ne possiedo una collezione di circa 200 episodi. Sono in bianco e nero e, spesso, in lingua inglese. Ogni tanto li riguardo, lasciandomi trasportare sulle onde della memoria della mia infanzia.
Da bambino trovavo gli episodi di “Ai confini della realtà” divertenti, ma non andavo oltre una lettura superficiale. Solo dopo i vent’anni iniziai a riflettere sul loro significato, soprattutto alla luce delle mie conoscenze sulle tecniche narrative della fantascienza. Non ero certo un osservatore acuto all’epoca, ma avrei dovuto intuire qualcosa: per 30 minuti a episodio, i personaggi non facevano altro che porsi domande su domande! Se avessi prestato più attenzione, forse mi sarei risparmiato di assillarmi con le mille domande che mi sono posto negli anni a venire. È anche per questo che il legame tra conscio e inconscio, tra sogno e realtà, è un tema che mi ha sempre affascinato, seppur con una certa inquietudine.
Cari lettori, scusate se mi sono dilungato, ma l’argomento continua a catturarmi e mi sembrava giusto condividerlo in un post. Speriamo solo che, con una buona dormita, mi passi la tentazione di tornare a scrivere racconti di fantascienza!
Infine ricordate ! “Solo i veri sciocchi credono di non sognare e nessuno sa perchè”.
Che la Forza sia con voi. MaxViator per domandenelbuio.com

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